ChicaVQ 3.1

 

Novembre 27 Novembre 2003

Filed under: Cose mie — chicavq @ 23:10

Vedere le cose come avvolte in una nebbia. E’ solo un modo di dire, nemmeno troppo originale. Peró a volte é molto vero. Ad esempio io i giorni appena prima e dopo la morte di mio padre é cosí che me li non-ricordo. Avvolti da una nebbia. Solo che non succede come sulla Lodi-Cassalpusterlengo in una sera di novembre, che più ti addentri più la nebbia diventa fitta. No. C’é che se mi permetto di soffermarmi su quei giorni la nebbia si squarcia in un attimo, e mi ricordo persino i pensieri che avevo. E non riesco a farlo, perché fa male esattamente come quando é successo.

Mi ricordo il suo corpo immobile per terra, sotto la pioggia, mia madre inginocchiata accanto a lui, lui che le dice di non piangere, i suoi occhi che mi cercano senza vedermi mentre rispondo alle domande di un dottore a cui non importa nulla che quello sia l’uomo che mi portava sulle spalle da piccola, e adesso steso su questo lettino solo con i boxer e una maglietta é cosí fragile e indifeso, e io non posso fare niente per proteggerlo, niente, niente per ricambiare tutta una vita in cui lui ha protetto me. Ha freddo ma nessuno lo copre, lo portano da una sala all’altra senza nemmeno un lenzuolo addosso, e in questi corridoi fa freddo, e lui continua a ripeterlo, ‘ho freddo, ho freddo’, ci cerca con gli occhi, dice cose che non capiamo mentre l’ematoma continua a crescere e rubare spazio nel cervello, il sangue non si ferma, ci dicono i medici, va operato, e anche cosí non c’é nessuna garanzia. Mia madre piange, il chirurgo é impaziente, vuole sapere se vogliamo farlo operare, tecnicamente credo sia già in coma, o forse no, ma non ha molta importanza. Sette ore di operazione, sette ore ad aspettare in una saletta da cui si vedono cortili pieni di pioggia, a chiederci se abbiamo fatto la cosa giusta. Ci dicono che hanno ridotto l’ematoma ma non significa molto, c’é solo da aspettare, é possibile che se anche si risveglia non possa più camminare ne’ parlare, mia madre dice che non le importa, basta che si svegli, io penso che non é molto giusto, che a lui non piacerebbe vivere cosí, ma sto zitta. Tre giorni in quella saletta, in quei corridoi, su quelle scale che ho disseminato di mozziconi, tre giorni ad aspettare i 10 minuti in cui ci lasciano entrare in rianimazione, indossando stupidi camici verdi da legare dietro e mascherine per non fare altro male a queste persone spezzate, persone spezzate come mio padre. Gli prendiamo la mano, gli parliamo, gli accarezziamo il viso, gli sfioriamo la testa che gli hanno rasato per l’operazione. Ha un occhio nero, ci dicono che é colpa dell’ematoma, e questa cosa mi spezza il cuore più di tutte le altre, se é possibile. Poi lo fanno uscire dalla rianimazione, credo che già sappiano, ma noi no, non sappiamo niente, peró se già sapevano potevano farci stare lí quella sera, almeno non sarebbe rimasto solo. Invece alle due di notte suona il telefono, e allora lí ho saputo anch’io, e scendere le scale per andare a chiamare mia madre é una delle cose più difficili della mia vita. Continuo a pensare “cosa le dico, come glielo dico”, ma quando mi apre la porta non ho bisogno di dirle niente, ha già capito. Attraversiamo la città vuota, non ci diciamo niente, e arrivati sotto l’ospedale all’improvviso ho paura e non voglio vederlo, forse perché vederlo renderà la cosa reale, non lo so, chiedo a mia madre se vogliamo aspettare mio fratello prima di salire, che stronzata, ma lei dice “no, andiamo su, magari ci riconosce”, ma quando arriviamo al reparto un’infermiera ci accompagna alla stanza, e c’é il paravento tirato, e solo una lucina piccola accesa, e mio padre é morto, ed é morto da solo. Noi nemmeno eravamo lí. Da solo. Mi chiedo cosa provava in quei momenti, se ha avuto paura, se capiva cosa stava succedendo, se ha capito che l’abbiamo lasciato solo. E’ per questo che queste cose sono avvolte in una nebbia, perché non riesco ad affrontarle, e non riesco a perdonarmi di averlo lasciato solo a morire cosí come l’ho lasciato solo quando era vivo, troppo occupata con la mia vita per dedicare un po’ di tempo a lui. Altro che nebbia, ci vorrebbe.

 

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