La sindrome del collezionista da edicola 24 Maggio 2003
All’inizio sembrava una cosa innocua. Perfino utile. Dice, cosí imparo le lingue. Ottimo. Ogni settimana si planava sull’edicola e insieme all’onesto e moderato Corriere, all’irrinunciabile TV Sorrisi e Canzoni e al peccaminoso Le Ore (opportunamente occultato nel Corriere ripiegato -odio la rima, qualcuno mi suggerisca un sinonimo-) ci si portava a casa il fascicolo + cassetta delle lezioni di inglese/francese/spagnolo/serbo-croato.
Quindi, dicevo, fin qui niente di male. Anzi, l’intenzione era lodevole. C’era anche una pubblicità, familiare e rassicurante come il caffelatte con i biscotti del mattino: un figlio cazzutello che faceva fare una figura da ignorante al padre che non sapeva le lingue, poi gli passava il fascicoletto e il giorno dopo il papà si presentava fiero alla progenie e annunciava “Ies, ai spic inglisc tuu” e i due si scambiavano dolci sorrisi e complici ammiccamenti. Ma io digredisco. Dicevo. Era iniziata cosí. Quando é stato chiaro che sulle lingue non si poteva più puntare, che imparare il russo o il mandarino in edicola era un’impresa ímproba, sono apparse le raccolte di francobolli. Che io capisco un disgraziato che ammorbi parenti, amici, colleghi e vicinato per farsi consegnare quei pezzettini di carta leccata, capisco che svaligi le tabaccherie quando é all’estero eccetera. Ma comprarseli in edicola?? Che senso ha?? Poi é stata la volta delle monete. E via via delirando: soldatini, modellini di aeroplani, case di bambola, macchinine, scatoline di porcellana, il Presepe (!!!), crea col legno, col ferro, con lo sterco secco, ricostruire Pompei, borse, occhiali…una cosa allucinante. Io non capisco.
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